Investi nel mattone
Le foreste ricresceranno
lunedì 6 febbraio 2012
I serial killer
La trama in due parole
Il libro in questione non parla di orsetti.
Se cercavate un libro sugli orsetti, mi spiace.
Dunque
Ho preso questo libro perché sto seguendo un corso di Psicologia Investigativa e forse avrei dovuto prenderlo PRIMA di sborsare soldi per il corso in questione, perché da quando l'ho finito mi sento la secchiona del primo banco che sa già tutte le risposte, e questo cozza molto con la mia tendenza a barricarmi in ultima fila sperando che tutti capiscano che una fobica sociale vuole solo essere lasciata in pace.
Il libro parla di serial killer.
Trattenete la sorpresa.
E' un vero e proprio manuale, utile per chiunque lavori nel settore (psichiatri, avvocati, psicologi, forze dell'ordine E potenziali serial killer).
Ma siccome gli autori sono consapevoli anche della quantità immane di casalinghe frustrate, fan sfegatate di Barbara D'Urso e Quarto Grado, che fingono scandalizzato pudore ogni volta che si parla di tematiche sanguinolente, mentre stanno segretamente agognando di avere ancora un macabro dettaglio (ancora uno, dai Barbara, ti prego, DIMMI QUANTE VOLTE L'HA VIOLENTATA!), che affollano il nostro mondo, ecco, gli autori, dicevo, hanno creato delle schede informative per ogni serial killer preso in considerazione, contenenti i dettagli della loro vita (sì, casalinga frustrata, si parlerà anche di ABUSI), il loro modus operandi (sì, casalinga frustrata, assimila quest'espressione e bullati con le vicine la prossima volta che vi trovate per parlare della Scazzi), numero e tipologia di vittime (sì, casalinga frustrata, alcuni ne hanno uccisi veramente un bottissimo, roba che Barbara avrebbe avuto ex compagni di scuola e vicini da intervistare A VITA) e luogo degli omicidi.
Ecco, dicono gli Autori, se proprio volete solo nutrire il vostro lato oscuro leggetevi soltanto le schede, che la teoria è noiosa.
In realtà la teoria è molto interessante.
Partendo da un campione molto vasto (2230 nomi) si analizza il "fenomeno" sotto ogni punto di vista, con continuo riferimento a dati statistici ed epidemiologici.
Chi sono i serial killer, quali tipologie sono state finora riconosciute, dove uccidono (con un capitolo tutto dedicato al fenomeno in Italia).
In particolare si parla in modo approfondito del Disturbo Antisociale di Personalità, delle perversioni, dei modi in cui l'assassino "caccia" la preda e dei motivi che lo spingono a scegliere proprio un determinato tipo di vittima.
Vengono prese in considerazione anche le tecniche d'investigazione, spaziando dal profilo psicologico a quello geografico, e sempre sottolineando quanto sia in realtà difficile riuscire a catturare questo tipo di criminale, con tutti gli esempi del caso.
Personalmente ho trovato molto interessanti il capitolo sulle possibilità di trattamento (non molto speranzoso, a dire il vero) e quello sulle serial killer donne, come sempre un po' discriminate: uccidono meno, ma meglio, eppure nessuno le studia, poverette.
Parlando in soldoni
VASTO.
Davvero, tocca praticamente tutti i punti dell'argomento (ovviamente se si è interessati solo ad un aspetto in particolare è meglio cercare un volume dedicato).
E' però pesantissimo in certi punti, quindi ascoltami, casalinga frustrata, DAVVERO, alcune cose sono nauseanti, lascia perdere, torna agli Harmony!
Mi sento di consigliarlo solo se davvero interessati, altrimenti tanto vale che vi prendiate Le 120 giornate di Sodoma e andiate subito al capitolo finale.
Ah, ed evitate di leggerlo in treno perché il passeggero seduto di fronte a voi non potrà trattenersi dal lanciarvi occhiate sospettose, ve lo dico per esperienza.
Autore: Vincenzo M. Mastronardi, Ruben De Luca
Editore: Universale Storica Newton
877 p.
Brossura
giovedì 19 gennaio 2012
I medici nazisti
La trama in due parole
Nella Germania Nazista il giuramento di Ippocrate suonava più o meno così:
"Giuro a te, Adolf Hitler - come Fuhrer e cancelliere del Reich - lealtà e valore. Prometto a te e ai miei superiori, da te designati, obbedienza sino alla morte, con l'aiuto di Dio."
Dunque: non credo di spoilerarti nessun finale se prosegui, immagino tu sia già informato di come si conclude l'intera faccenda.
L'autore, docente di psichiatria e psicologia e, credo di doverlo sottolineare, ebreo (e lo sottolineo perché al suo posto non credo avrei avuto il pelo di condurre interviste a medici nazisti restando al contempo obiettiva) apre chiarendo che questo libro non anela a sostituire la condanna con una comprensione, ma solo a scoprire qualcosa di più su questo tipo di male.
Il libro è diviso in tre parti: nella prima si affronta il problema dell'eutanasia, nella seconda si parla in dettaglio di Auschwitz e nella terza, infine, del genocidio in senso lato.
La scelta è stata opportuna.
Il pensiero di tutti infatti, quando si parla di Nazismo, corre immediatamente ai campi di concentramento e alle camere a gas, senza considerare come questo sia stato in realtà solo l'ultimo di una serie di passi.
Il primo di questi è stata proprio l'eutanasia.
Fuori dai campi, nei comuni ospedali, e molto prima della Guerra.
Quello da cui ci si deve svincolare è il concetto attuale (e corretto) che abbiamo dell'eutanasia, cioè una "dolce" morte, provocata intenzionalmente, PREVIO CONSENSO dell'interessato.
Non voglio addentrarmi in discorsi sulla liceità o meno della cosa, ma credo si sia tutti d'accordo sul fatto che se la nonna ha il cancro, ma vuole ancora finire il suo quadro al punto croce e noi le piazziamo comunque del cianuro nel tè coi biscotti siamo degli assassini e basta.
Se invece la nonna ha il cancro e ne ha le palle piene e ci supplica di piazzarle qualcosa nel suddetto tè (e noi magari siamo anche medici) la cosa è diversa, e in certi luoghi del tutto legale (cianuro a parte).
I Nazisti invece hanno inteso l'eutanasia nel primo modo.
Nonna ha il cancro?
(e con "nonna ha il cancro" intendiamo: malati di mente, bambini con ritardo mentale o malformazioni congenite gravi, gente che ci sta sui coglioni, una qualunque persona che non sia utile alla società)
Bene, VAI DI CIANURO!
(e con "vai di cianuro" intendiamo: sbattila in una camera a gas, iniettale del fenolo, falla morire di fame dicendole che le hai cambiato il regime dietetico).
QUESTO E' IL CONCETTO UNO.
Ma perché decidere di eliminare queste persone?
E qui arriviamo al CONCETTO DUE.
I Medici nazisti dovevano smettere di intendere la medicina come un'arte rivolta alla singola persona, dovevano invece capire che era rivolta al POPOLO.
Al popolo tedesco, per la precisione.
Ergo, ciò che dovevano curare non era un corpo, ma un'intera nazione, andando quindi ad agire su quelle parti dell'organismo più deboli, che inficiavano il funzionamento dell'intero sistema.
Questo concetto è estremamente importante, soprattutto per i medici, che necessitavano di una giustificazione per il loro operato: non sto venendo meno al giuramento di Ippocrate, ho solo modificato la mia idea di paziente.
Klein (uno dei medici di Auschwitz) disse infatti che "L'ebreo è l'appendice incancrenita nel corpo dell'umanità".
Una cosa da togliere al più presto, insomma, se si vuole salvare il "corpo/volk".
(tra l'altro: il fatto di essere ebreo era spesso considerato già per sé una diagnosi di malattia, quindi era piuttosto dura scamparla)
L'altra cosa da notare è come il Nazismo fosse permeato dalla biologia, dalla genetica, dalla medicina.
In un passo del libro si dice infatti che veniva considerato da molti medici non come un movimento politico, ma come "biologia applicata".
Pochissimi notarono allora le basi di "ommioddio non ho esattamente delle prove scientifiche che suffraghino le mie ipotesi, ma chi cazzo se ne frega, sarà sicuramente così" su cui poggiava questa cosiddetta biologia.
Dall'eutanasia però fu fatto un passo ulteriore.
Ovvero: va bene, stiamo eliminando in massa quelli che non ci piacciono (nella massima segretezza e spedendo ai parenti a casa letterine molto dispiaciute per il fatto che la nonna è morta di polmonite e blablabla), ma perché pensare in piccolo? Facciamo in modo che queste persone non possano fare figli, così ci risparmiamo un sacco di lavoro! D'altra parte i nostri studi sulla trasmissione genetica sono così avanzati che possiamo permetterci tranquillamente di sterilizzare ad minchiam con la benedizione di Mendel e tutti i suoi cazzo di pisellini.
E fu così che vennero spese moltissime risorse, fatica e sudore (per non parlare di ovaie, testicoli ed uteri) sulla base di un sacco di nozioni prive di fondamento.
Detto ciò non si deve credere che l'intera operazione fosse campata in aria.
La burocrazia era imperante.
Niente poteva essere fatto senza essere accuratamente registrato, valutato (da almeno tre medici, che spesso tra l'altro non avevano mai nemmeno visto i pazienti) e quindi GIUSTIFICATO.
La responsabilità era di tutti e di nessuno.
Non era delle infermiere, che eseguivano gli ordini dei medici, che eseguivano gli ordini dei primari, che eseguivano quelli dei direttori degli ospedali e via così fino alla cima.
Cima che però non eseguiva mai MATERIALMENTE nulla, e quindi, in un certo senso malato, poteva ritenersi assolutamente libera di sensi di colpa e del tutto legittimata a farsi un birrozzo coi colleghi in allegria.
Tutto questo riguarda l'uccisione "terapeutica" GENETICA.
Nei campi di concentramento veniva invece eseguita l'uccisione "terapeutica" RAZZIALE.
Qui finivano principalmente ebrei, zingari, polacchi, oppositori politici, omosessuali.
Opportunamente divisi in categorie specifiche, ognuna delle quali colpevole di danneggiare (leggi ammalare) il popolo tedesco, e quindi "meritevoli" di essere eliminate in blocco.
Gli ideologi tedeschi consideravano Auschwitz "un'impresa sanitaria pubblica".
Giuro.
Lo so, è troppo stupido per passare per vero, ma purtroppo così stanno le cose.
La cosa ancora più incredibile è che ogni prigioniero di Auschwitz era destinato a morire, e poteva capitargli in molti modi, ma non era libero di uccidersi.
No, "lanciarsi contro un reticolato elettrico era considerata una violazione grave della disciplina e diventava spesso oggetto di inchieste minuziose".
Perché?
Perché era una decisione autonoma del prigioniero, quindi eludeva il rigido controllo medico e quindi NON poteva essere considerata terapeutica.
L'unica forma di suicidio tollerata era farsi morire lentamente di fame.
I medici che finivano ad Auschwitz si servivano di diversi meccanismi di difesa per non impazzire, il più importante dei quali era lo "sdoppiamento".
In loro convivevano un "Sè anteriore", il loro Io PRIMA di Aushwitz, il medico vero, quello che doveva curare il paziente, ed un "Sè di Auschwitz", quello che doveva operare le selezioni ai treni, eseguire le sperimentazioni e uccidere i pazienti.
La scissione era piuttosto forte in molti casi, il che spiega come questi uomini potessero essere contemporaneamente spietati assassini e buoni mariti e padri di famiglia.
Tutti i loro problemi di coscienza venivano riversati sul Sè nazista, l'unico in grado di giustificarsi dietro l'obbedienza a ordini superiori, e quello più incline ad adattarsi al campo e alla sua routine burocratica di morte.
Veniamo quindi alle selezioni.
Venivano fatte all'arrivo dei convogli ed erano la parte più stressante del lavoro dei medici (che dovevano sempre essere presenti, in modo da dare una parvenza scientifica all'intero processo).
Si doveva in pochi secondi decidere chi poteva vivere e chi doveva essere immediatamente inviato alle camere a gas.
Ora, nella realtà nessun medico sarà in grado di stabilirlo ad una prima occhiata, per cui la scelta era nella maggior parte dei casi assolutamente casuale e dettata solo dall'utilità del soggetto (donne, bambini ed anziani partivano quindi svantaggiati, i gemelli invece erano quasi sempre temporaneamente salvi grazie all'interessamento di Menegele, che aveva per loro altri progetti).
Nessun medico affrontava con piacere le selezioni, infatti le eseguivano spesso dopo essersi ubriacati, o bevendo pesantemente sul momento, in modo da non rendersi pienamente conto di quello che stavano effettivamente facendo.
Prerequisito essenziale era comunque una totale fede nell'ideologia nazista, la capacità di eseguire comunque gli ordini, per quanto sgradevoli, giustificandosi con un'"ideologia superiore".
Lo scopo di tutto era ottenere dei lavoratori efficienti, ma non nel senso comune di schiavi.
Gli schiavi infatti sono da considerare come "attrezzi" che vanno mantenuti in buona salute al fine di ottenere sempre una buona prestazione.
I prigionieri di Auschwitz venivano invece fatti "lavorare a morte" e, una volta eliminati, immediatamente sostituiti.
I medici del campo però non erano solo nazisti.
Molti erano medici prigionieri, che si trovavano in una posizione a dir poco bizzarra e decisamente pericolosa.
Il loro compito era curare di persona i prigionieri e contemporaneamente assistere i medici nazisti nelle procedure di sperimentazione e sterminio, a rischio della loro stessa vita.
Alcuni riuscirono a mantenere una propria integrità e anche ad aiutare i prigionieri (in qualche caso con la complicità di medici nazisti, ma si tratta di mosche bianche), altri vennero completamente risucchiati dalla dimensione più tetra della faccenda e, pur di salvare loro stessi, si piegarono a qualsiasi richiesta.
E' molto difficile esprimere giudizi in questi casi, perché la domanda è sempre "cosa avrei fatto IO al posto loro?".
Domanda a cui è facilissimo rispondere in via teorica (siamo tutti eroi nelle nostre rappresentazioni mentali), ma molto meno nella pratica.
L'Autore passa poi ad analizzare nel dettaglio le figure di tre medici in particolare: Ernst B., Mengele ed Eduard Wirths, ognuno con una diversa storia ed un diverso destino.
Non mi dilungo ulteriormente sulle loro storie, ma l'analisi è ottima e sorprendentemente obiettiva, anche se lo stesso autore ammette di aver faticato non poco a mantenersi in tale stato durante le interviste con Ernst, l'unico sopravvissuto dei tre.
Infine si parla del genocidio in senso lato, dei meccanismi psicologici che stanno alla base di questo processo e di come siano necessarie specifiche condizioni perché un popolo giunga a tale risoluzione: un fallimento a livello generale, avvertito da tutta la nazione (la sconfitta della Prima Guerra Mondiale, in questo caso), l'individuazione di un nemico su cui scaricare la responsabilità (gli ebrei in questo caso) e quindi la decisione di una cura radicale, che possa coinvolgere tutta la popolazione (il genocidio).
L'autore, docente di psichiatria e psicologia e, credo di doverlo sottolineare, ebreo (e lo sottolineo perché al suo posto non credo avrei avuto il pelo di condurre interviste a medici nazisti restando al contempo obiettiva) apre chiarendo che questo libro non anela a sostituire la condanna con una comprensione, ma solo a scoprire qualcosa di più su questo tipo di male.
Il libro è diviso in tre parti: nella prima si affronta il problema dell'eutanasia, nella seconda si parla in dettaglio di Auschwitz e nella terza, infine, del genocidio in senso lato.
La scelta è stata opportuna.
Il pensiero di tutti infatti, quando si parla di Nazismo, corre immediatamente ai campi di concentramento e alle camere a gas, senza considerare come questo sia stato in realtà solo l'ultimo di una serie di passi.
Il primo di questi è stata proprio l'eutanasia.
Fuori dai campi, nei comuni ospedali, e molto prima della Guerra.
Quello da cui ci si deve svincolare è il concetto attuale (e corretto) che abbiamo dell'eutanasia, cioè una "dolce" morte, provocata intenzionalmente, PREVIO CONSENSO dell'interessato.
Non voglio addentrarmi in discorsi sulla liceità o meno della cosa, ma credo si sia tutti d'accordo sul fatto che se la nonna ha il cancro, ma vuole ancora finire il suo quadro al punto croce e noi le piazziamo comunque del cianuro nel tè coi biscotti siamo degli assassini e basta.
Se invece la nonna ha il cancro e ne ha le palle piene e ci supplica di piazzarle qualcosa nel suddetto tè (e noi magari siamo anche medici) la cosa è diversa, e in certi luoghi del tutto legale (cianuro a parte).
I Nazisti invece hanno inteso l'eutanasia nel primo modo.
Nonna ha il cancro?
(e con "nonna ha il cancro" intendiamo: malati di mente, bambini con ritardo mentale o malformazioni congenite gravi, gente che ci sta sui coglioni, una qualunque persona che non sia utile alla società)
Bene, VAI DI CIANURO!
(e con "vai di cianuro" intendiamo: sbattila in una camera a gas, iniettale del fenolo, falla morire di fame dicendole che le hai cambiato il regime dietetico).
QUESTO E' IL CONCETTO UNO.
Ma perché decidere di eliminare queste persone?
E qui arriviamo al CONCETTO DUE.
I Medici nazisti dovevano smettere di intendere la medicina come un'arte rivolta alla singola persona, dovevano invece capire che era rivolta al POPOLO.
Al popolo tedesco, per la precisione.
Ergo, ciò che dovevano curare non era un corpo, ma un'intera nazione, andando quindi ad agire su quelle parti dell'organismo più deboli, che inficiavano il funzionamento dell'intero sistema.
Questo concetto è estremamente importante, soprattutto per i medici, che necessitavano di una giustificazione per il loro operato: non sto venendo meno al giuramento di Ippocrate, ho solo modificato la mia idea di paziente.
Klein (uno dei medici di Auschwitz) disse infatti che "L'ebreo è l'appendice incancrenita nel corpo dell'umanità".
Una cosa da togliere al più presto, insomma, se si vuole salvare il "corpo/volk".
(tra l'altro: il fatto di essere ebreo era spesso considerato già per sé una diagnosi di malattia, quindi era piuttosto dura scamparla)
L'altra cosa da notare è come il Nazismo fosse permeato dalla biologia, dalla genetica, dalla medicina.
In un passo del libro si dice infatti che veniva considerato da molti medici non come un movimento politico, ma come "biologia applicata".
Pochissimi notarono allora le basi di "ommioddio non ho esattamente delle prove scientifiche che suffraghino le mie ipotesi, ma chi cazzo se ne frega, sarà sicuramente così" su cui poggiava questa cosiddetta biologia.
Dall'eutanasia però fu fatto un passo ulteriore.
Ovvero: va bene, stiamo eliminando in massa quelli che non ci piacciono (nella massima segretezza e spedendo ai parenti a casa letterine molto dispiaciute per il fatto che la nonna è morta di polmonite e blablabla), ma perché pensare in piccolo? Facciamo in modo che queste persone non possano fare figli, così ci risparmiamo un sacco di lavoro! D'altra parte i nostri studi sulla trasmissione genetica sono così avanzati che possiamo permetterci tranquillamente di sterilizzare ad minchiam con la benedizione di Mendel e tutti i suoi cazzo di pisellini.
E fu così che vennero spese moltissime risorse, fatica e sudore (per non parlare di ovaie, testicoli ed uteri) sulla base di un sacco di nozioni prive di fondamento.
Detto ciò non si deve credere che l'intera operazione fosse campata in aria.
La burocrazia era imperante.
Niente poteva essere fatto senza essere accuratamente registrato, valutato (da almeno tre medici, che spesso tra l'altro non avevano mai nemmeno visto i pazienti) e quindi GIUSTIFICATO.
La responsabilità era di tutti e di nessuno.
Non era delle infermiere, che eseguivano gli ordini dei medici, che eseguivano gli ordini dei primari, che eseguivano quelli dei direttori degli ospedali e via così fino alla cima.
Cima che però non eseguiva mai MATERIALMENTE nulla, e quindi, in un certo senso malato, poteva ritenersi assolutamente libera di sensi di colpa e del tutto legittimata a farsi un birrozzo coi colleghi in allegria.
Tutto questo riguarda l'uccisione "terapeutica" GENETICA.
Nei campi di concentramento veniva invece eseguita l'uccisione "terapeutica" RAZZIALE.
Qui finivano principalmente ebrei, zingari, polacchi, oppositori politici, omosessuali.
Opportunamente divisi in categorie specifiche, ognuna delle quali colpevole di danneggiare (leggi ammalare) il popolo tedesco, e quindi "meritevoli" di essere eliminate in blocco.
Gli ideologi tedeschi consideravano Auschwitz "un'impresa sanitaria pubblica".
Giuro.
Lo so, è troppo stupido per passare per vero, ma purtroppo così stanno le cose.
La cosa ancora più incredibile è che ogni prigioniero di Auschwitz era destinato a morire, e poteva capitargli in molti modi, ma non era libero di uccidersi.
No, "lanciarsi contro un reticolato elettrico era considerata una violazione grave della disciplina e diventava spesso oggetto di inchieste minuziose".
Perché?
Perché era una decisione autonoma del prigioniero, quindi eludeva il rigido controllo medico e quindi NON poteva essere considerata terapeutica.
L'unica forma di suicidio tollerata era farsi morire lentamente di fame.
I medici che finivano ad Auschwitz si servivano di diversi meccanismi di difesa per non impazzire, il più importante dei quali era lo "sdoppiamento".
In loro convivevano un "Sè anteriore", il loro Io PRIMA di Aushwitz, il medico vero, quello che doveva curare il paziente, ed un "Sè di Auschwitz", quello che doveva operare le selezioni ai treni, eseguire le sperimentazioni e uccidere i pazienti.
La scissione era piuttosto forte in molti casi, il che spiega come questi uomini potessero essere contemporaneamente spietati assassini e buoni mariti e padri di famiglia.
Tutti i loro problemi di coscienza venivano riversati sul Sè nazista, l'unico in grado di giustificarsi dietro l'obbedienza a ordini superiori, e quello più incline ad adattarsi al campo e alla sua routine burocratica di morte.
Veniamo quindi alle selezioni.
Venivano fatte all'arrivo dei convogli ed erano la parte più stressante del lavoro dei medici (che dovevano sempre essere presenti, in modo da dare una parvenza scientifica all'intero processo).
Si doveva in pochi secondi decidere chi poteva vivere e chi doveva essere immediatamente inviato alle camere a gas.
Ora, nella realtà nessun medico sarà in grado di stabilirlo ad una prima occhiata, per cui la scelta era nella maggior parte dei casi assolutamente casuale e dettata solo dall'utilità del soggetto (donne, bambini ed anziani partivano quindi svantaggiati, i gemelli invece erano quasi sempre temporaneamente salvi grazie all'interessamento di Menegele, che aveva per loro altri progetti).
Nessun medico affrontava con piacere le selezioni, infatti le eseguivano spesso dopo essersi ubriacati, o bevendo pesantemente sul momento, in modo da non rendersi pienamente conto di quello che stavano effettivamente facendo.
Prerequisito essenziale era comunque una totale fede nell'ideologia nazista, la capacità di eseguire comunque gli ordini, per quanto sgradevoli, giustificandosi con un'"ideologia superiore".
Lo scopo di tutto era ottenere dei lavoratori efficienti, ma non nel senso comune di schiavi.
Gli schiavi infatti sono da considerare come "attrezzi" che vanno mantenuti in buona salute al fine di ottenere sempre una buona prestazione.
I prigionieri di Auschwitz venivano invece fatti "lavorare a morte" e, una volta eliminati, immediatamente sostituiti.
I medici del campo però non erano solo nazisti.
Molti erano medici prigionieri, che si trovavano in una posizione a dir poco bizzarra e decisamente pericolosa.
Il loro compito era curare di persona i prigionieri e contemporaneamente assistere i medici nazisti nelle procedure di sperimentazione e sterminio, a rischio della loro stessa vita.
Alcuni riuscirono a mantenere una propria integrità e anche ad aiutare i prigionieri (in qualche caso con la complicità di medici nazisti, ma si tratta di mosche bianche), altri vennero completamente risucchiati dalla dimensione più tetra della faccenda e, pur di salvare loro stessi, si piegarono a qualsiasi richiesta.
E' molto difficile esprimere giudizi in questi casi, perché la domanda è sempre "cosa avrei fatto IO al posto loro?".
Domanda a cui è facilissimo rispondere in via teorica (siamo tutti eroi nelle nostre rappresentazioni mentali), ma molto meno nella pratica.
L'Autore passa poi ad analizzare nel dettaglio le figure di tre medici in particolare: Ernst B., Mengele ed Eduard Wirths, ognuno con una diversa storia ed un diverso destino.
Non mi dilungo ulteriormente sulle loro storie, ma l'analisi è ottima e sorprendentemente obiettiva, anche se lo stesso autore ammette di aver faticato non poco a mantenersi in tale stato durante le interviste con Ernst, l'unico sopravvissuto dei tre.
Infine si parla del genocidio in senso lato, dei meccanismi psicologici che stanno alla base di questo processo e di come siano necessarie specifiche condizioni perché un popolo giunga a tale risoluzione: un fallimento a livello generale, avvertito da tutta la nazione (la sconfitta della Prima Guerra Mondiale, in questo caso), l'individuazione di un nemico su cui scaricare la responsabilità (gli ebrei in questo caso) e quindi la decisione di una cura radicale, che possa coinvolgere tutta la popolazione (il genocidio).
Parlando in soldoni
Il libro è ottimo, completo e chiaro.
Ciò non toglie che possa essere una lettura un po' pesante da digerire.
Lo consiglio a tutti coloro che sono fortemente interessati all'argomento, e ovviamente a ogni medico, tanto per ripassare i fondamentali della sua professione e rendersi conto di come non sia poi così difficile arrivare a distorcerne il senso, quando le condizioni si presentano.
Il libro è ottimo, completo e chiaro.
Ciò non toglie che possa essere una lettura un po' pesante da digerire.
Lo consiglio a tutti coloro che sono fortemente interessati all'argomento, e ovviamente a ogni medico, tanto per ripassare i fondamentali della sua professione e rendersi conto di come non sia poi così difficile arrivare a distorcerne il senso, quando le condizioni si presentano.
Autore: Robert Jay Lifton
Editore: BUR Biblioteca Universale Rizzoli
725 p.
Brossura
mercoledì 17 agosto 2011
Grotesque
La trama in due parole
Due donne di malaffare giapponesi vengono uccise da un cinese bugiardo con la passione per l'incesto.
La sorella di una delle due (che comunque non sta troppo bene neppure lei) decide di raccontare la sua distorta verità, provvidenzialmente aiutata dai memoriali lasciati dai tre tizi di cui sopra.
Il Giappone ne esce un po' come un brutto posto.
Dunque: non proseguire se non vuoi rovinarti parte del finale
prosegui pure se non te ne batte nulla di rovinarti il finale
prosegui pure se hai letto il libro e vuoi chiarire i miei punti oscuri
Natsuo Kirino ha partorito un libro molto lungo e anche molto complesso.
Se ne potrebbe parlare per ore, ma sto scrivendo dal mare e s'è già fatta una certa, quindi cercherò di essere il più breve possibile, così si va tutti in spiaggia.
Le cose che mi hanno colpita sono:
La società giapponese
Classista e molto dura.
Il liceo femminile Q, dove studiano le protagoniste, ne è un esempio in miniatura.
Ci sono le studentesse "interne", quelle che frequentano la scuola sin dalle elementari, e quelle "esterne", entrate progressivamente alle medie, al liceo o addirittura all'università.
I due gruppi sono nettamente contrapposti e divisi da un abisso di denaro, classe sociale e calzettoni (!).
Yuriko e Kazue (le nostre due prostitute) sono studentesse esterne, ma il loro destino è molto diverso.
Yuriko è "mostruosamente" bella ed è "nata per fare la puttana". Raccoglie fama e sesso dovunque metta piede, senza sforzarsi più di tanto (la sorella, di cui non scopriremo mai il nome, ci tiene a sottolineare in ogni dove quanto Yuriko fosse in realtà ipodotata intellettualmente).
Kazue invece è brutta, e forse nemmeno troppo brillante, ma crede con tutta se stessa che l'unica via per il successo sia l'impegno (aiutata in questo da un padre-padrone figlio della più classica educazione giapponese). Dovrà venire a patti con la realtà dei fatti e non riuscirà mai ad emergere, nè al liceo, nè nel mondo del lavoro, sia in quanto donna, sia in quanto "mostro".
Una volta approdate nel mondo adulto, Yuriko dovrà scontrarsi con il passare del tempo, che la renderà brutta e meno potente, ma ancora in grado di soggiogare gli uomini (che lei odia) per il breve momento di un orgasmo; Kazue dovrà scendere a patti col fatto che essere una donna, anche se laureata a Q e disposta ad ogni genere di sacrifici per scalare la vetta del successo, la renderà sempre inferiore agli uomini (che lei invece ama e da cui vorrebbe essere amata).
Classista e molto dura.
Il liceo femminile Q, dove studiano le protagoniste, ne è un esempio in miniatura.
Ci sono le studentesse "interne", quelle che frequentano la scuola sin dalle elementari, e quelle "esterne", entrate progressivamente alle medie, al liceo o addirittura all'università.
I due gruppi sono nettamente contrapposti e divisi da un abisso di denaro, classe sociale e calzettoni (!).
Yuriko e Kazue (le nostre due prostitute) sono studentesse esterne, ma il loro destino è molto diverso.
Yuriko è "mostruosamente" bella ed è "nata per fare la puttana". Raccoglie fama e sesso dovunque metta piede, senza sforzarsi più di tanto (la sorella, di cui non scopriremo mai il nome, ci tiene a sottolineare in ogni dove quanto Yuriko fosse in realtà ipodotata intellettualmente).
Kazue invece è brutta, e forse nemmeno troppo brillante, ma crede con tutta se stessa che l'unica via per il successo sia l'impegno (aiutata in questo da un padre-padrone figlio della più classica educazione giapponese). Dovrà venire a patti con la realtà dei fatti e non riuscirà mai ad emergere, nè al liceo, nè nel mondo del lavoro, sia in quanto donna, sia in quanto "mostro".
Una volta approdate nel mondo adulto, Yuriko dovrà scontrarsi con il passare del tempo, che la renderà brutta e meno potente, ma ancora in grado di soggiogare gli uomini (che lei odia) per il breve momento di un orgasmo; Kazue dovrà scendere a patti col fatto che essere una donna, anche se laureata a Q e disposta ad ogni genere di sacrifici per scalare la vetta del successo, la renderà sempre inferiore agli uomini (che lei invece ama e da cui vorrebbe essere amata).
L'io narrante
A raccontare questa storia è l'anonima sorella di Yuriko.
Non dice mai il suo nome e nessuno sembra ricordarselo (persino il professore Kijima, scrivendo a Mitsuru, la ricorda semplicemente in quanto sorella di Yuriko).
Quindi d'ora in poi mi riferò a lei semplicemente come a Figa di Legno.
Giura e spergiura di dire la verità per tutto il libro, ma viene contraddetta più volte dagli altri personaggi e dalla stessa Yuriko nel suo diario.
E' totalmente succube di sua sorella, che odia, costantemente paragonata a lei e incapace di contrapporre alla sua mostruosa bellezza una qualsiasi qualità che la faccia apprezzare, eccetto la perfidia e la malizia, che, a detta sua, sono le sole cose che le hanno permesso di sopravvivere a Q.
E' sola, una "vergine eterna" incapace di provare sentimenti positivi.
Odia il padre, un europeo, e vuole credere a tutti i costi di essere figlia di un altro uomo, anche per riuscire a giustificare il fatto di non assomigliare a Yuriko; è del tutto indifferente alla madre (alla notizia del suo suicidio non versa una lacrima, ma trema all'idea che questo possa riportare Yuriko in Giappone, cosa che poi avverrà); si affeziona al nonno, ma solo per il breve tempo in cui lo ha tutto per sè (da quando s'innamora della madre di Mitsuru ne parla sempre con freddezza); ammira Misturu, sua compagna di classe, ma la storia si ripete e l'amicizia si rompe definitivamente quando si accorge del fatto che lei è innamorata del professore Kijima.
Vuole credere di essere una mezzosangue che non assomiglia a nessuno della sua famiglia, ma dal diario di Yuriko scopriamo che invece è identica alla madre e sembra giapponese al 100%.
Solo nel finale mostra un lato umano, quando riesce ad affezionarsi (addirittura ad innamorarsi) di Yurio, il bellissimo figlio di Yuriko, ma solo perchè lui è cieco, quindi non ha coscienza del proprio aspetto, nè di quello di lei, almeno fino a quando non comincerà a prostituirsi e scoprirà il potere del sesso.
E' un personaggio affascinante, ma triste ed arido.
La realtà distorta
Per tutto il libro ho avuto l'impressione che le uniche persone di cui ci si potesse fidare (in termini di testimonianza) fossero Yuriko e Kijima Junior (figlio del già citato professore e pappone in erba).
Sembrano gli unici a riferire i fatti esattamente come sono, senza particolari fronzoli o masturbazioni mentali.
Figa di Legno non è affidabile per i motivi di cui sopra.
Mitsuru, che sembrava la più normale del gruppo, si rivela essere una persona debole e facilmente condizionabile, dispostissima a unirsi ad ogni setta in circolazione pur di sentirsi parte di qualcosa.
Kazue merita un trafiletto a parte.
Kazue
E' il personaggio che ho amato di più.
Sembra vivere in un universo parallelo, incapace di rendersi conto di come gli altri la vedono veramente.
Bistrattata ed umiliata in ogni modo al liceo, non si accorge di nulla.
Persino quando Kijima Junior le rispedisce indietro le sue lettere d'amore affronta la cosa con una bugia, dicendo a Figa di Legno (abile manipolatrice e causa di tutte le sue disgrazie) che ora stanno insieme.
Per tutto il liceo è ossessionata dalla bellezza e dalla popolarità di Yuriko, e, appena entrata nella ditta G, svilupperà un'ossessione per la collega Yamamoto, più brava di lei, al punto da copiarne abbigliamento e vezzi posturali.
Sarà proprio Yamamoto a farla andare definitivamente in pezzi, senza volerlo. Quando Kazue, seguendola, la vedrà in compagnia di un uomo e si renderà finalmente conto di essere sola, sola come nessun'altro (a parte Figa di Legno, ovviamente, ma Figa di Legno è troppo di legno per accorgersene) e tremendamente bisognosa di qualcuno che la noti e che sia gentile con lei.
Nella sua mente questo si traduce in "hey, forse sarebbe il caso che mi mettessi a fare la puttana!".
Peccato che Kazue sia brutta, anoressica ai limiti della sopravvivenza e tendenzialmente odiosa.
Anche se ovviamente lei non si vede così, anzi, si definisce una donna bella, snella, una vera "Superman in gonnella", impiegata modello durante il giorno, prostituta desiderata da ogni uomo durante la notte.
Il fatto che gli uomini la rifuggano e che sia costretta a svendersi per pochi yen non sembra intaccare questa sua convinzione granitica (più comunemente detta delirio).
La sua spirale discendente è inesorabile. Diventerà sempre più confusa, incapace di gestire le sue due personalità, al punto che quella notturna prenderà inevitabilmente il sopravvento su quella diurna, fino a costringerla ad elemosinare amore da Zhang, pur sapendo che è stato lui ad uccidere Yuriko, sperando forse che faccia lo stesso anche con (per?) lei.
Sembra vivere in un universo parallelo, incapace di rendersi conto di come gli altri la vedono veramente.
Bistrattata ed umiliata in ogni modo al liceo, non si accorge di nulla.
Persino quando Kijima Junior le rispedisce indietro le sue lettere d'amore affronta la cosa con una bugia, dicendo a Figa di Legno (abile manipolatrice e causa di tutte le sue disgrazie) che ora stanno insieme.
Per tutto il liceo è ossessionata dalla bellezza e dalla popolarità di Yuriko, e, appena entrata nella ditta G, svilupperà un'ossessione per la collega Yamamoto, più brava di lei, al punto da copiarne abbigliamento e vezzi posturali.
Sarà proprio Yamamoto a farla andare definitivamente in pezzi, senza volerlo. Quando Kazue, seguendola, la vedrà in compagnia di un uomo e si renderà finalmente conto di essere sola, sola come nessun'altro (a parte Figa di Legno, ovviamente, ma Figa di Legno è troppo di legno per accorgersene) e tremendamente bisognosa di qualcuno che la noti e che sia gentile con lei.
Nella sua mente questo si traduce in "hey, forse sarebbe il caso che mi mettessi a fare la puttana!".
Peccato che Kazue sia brutta, anoressica ai limiti della sopravvivenza e tendenzialmente odiosa.
Anche se ovviamente lei non si vede così, anzi, si definisce una donna bella, snella, una vera "Superman in gonnella", impiegata modello durante il giorno, prostituta desiderata da ogni uomo durante la notte.
Il fatto che gli uomini la rifuggano e che sia costretta a svendersi per pochi yen non sembra intaccare questa sua convinzione granitica (più comunemente detta delirio).
La sua spirale discendente è inesorabile. Diventerà sempre più confusa, incapace di gestire le sue due personalità, al punto che quella notturna prenderà inevitabilmente il sopravvento su quella diurna, fino a costringerla ad elemosinare amore da Zhang, pur sapendo che è stato lui ad uccidere Yuriko, sperando forse che faccia lo stesso anche con (per?) lei.
Gli omicidi
Io sono rimasta dubbiosa.
In tutto questo miscuglio di testimonianze contraddittorie non è in realtà chiaro come si siano svolti i fatti, l'unica cosa sicura è che Zhang sia il colpevole.
Ma colpevole di cosa?
Che sia stata Yuriko a chiedergli di ucciderla lo dice lui, e solo a Kazue, mentre in tribunale afferma di averla uccisa in un impeto di rabbia.
Che abbia ucciso Kazue possiamo dedurlo (anche se lui in tribunale negherà), ma non sappiamo se alla fine sia stata lei a chiederglielo.
Credo comunque che questi dettagli non siano importanti.
Yuriko aveva ragione:
"Gli uomini, in realtà, detestano le donne che si vendono il corpo. E le donne che si vendono il corpo detestano, a loro volta, gli uomini che le pagano. Metti insieme due individui che si odiano dal profondo e vedrai che, un giorno o l'atro, qualcuno ci rimetterà la pelle. E' solo una questione di tempo. Io sono, già da un pezzo, in attesa di quel giorno. E quando verrà, non opporrò la minima resistenza e mi lascerò ammazzare. Perchè questo è il mio destino."
Parlando in soldoni
da esporre orgogliosamente nella vostra libreria.
Io sono rimasta dubbiosa.
In tutto questo miscuglio di testimonianze contraddittorie non è in realtà chiaro come si siano svolti i fatti, l'unica cosa sicura è che Zhang sia il colpevole.
Ma colpevole di cosa?
Che sia stata Yuriko a chiedergli di ucciderla lo dice lui, e solo a Kazue, mentre in tribunale afferma di averla uccisa in un impeto di rabbia.
Che abbia ucciso Kazue possiamo dedurlo (anche se lui in tribunale negherà), ma non sappiamo se alla fine sia stata lei a chiederglielo.
Credo comunque che questi dettagli non siano importanti.
Yuriko aveva ragione:
"Gli uomini, in realtà, detestano le donne che si vendono il corpo. E le donne che si vendono il corpo detestano, a loro volta, gli uomini che le pagano. Metti insieme due individui che si odiano dal profondo e vedrai che, un giorno o l'atro, qualcuno ci rimetterà la pelle. E' solo una questione di tempo. Io sono, già da un pezzo, in attesa di quel giorno. E quando verrà, non opporrò la minima resistenza e mi lascerò ammazzare. Perchè questo è il mio destino."
Parlando in soldoni
da esporre orgogliosamente nella vostra libreria.
Autore: Natsuo Kirino
Editore: Neri Pozza
928 p.
Brossura
Etichette:
Letteratura giapponese,
Mattoni standard
Pistolotto introduttivo
Vittima di shopping librario compulsivo, l'Autrice apre il blog per scribacchiare recensioni libere (leggi: ad cazzum, dato che l'Autrice non è una professionista) sui libri che sono finiti nel suo armadio/libreria (l'Autrice ha problemi di spazio e si ritaglia quello che può).
Il blog viene aggiornato in maniera del tutto periodica (ovvero molto di rado) perchè l'Autrice si serve spesso e volentieri in Biblioteca e non parlerà dei tomi ivi sgraffignati gratuitamente, ma solo di quelli in cui ha effettivamente investito denaro faticosamente risparmiato sulla spesa (l'Autrice è una fan sfegatata delle offerte 3x2).
Il Lettore Illuminato potrà eventualmente decidere di seguire i consigli (o gli sconsigli) dell'Autrice nei suoi giri tra gli scaffali.
L'importante è che poi non venga a lamentarsi qui se la cosa non ha dato buoni frutti.
Per agevolare il Lettore illuminato verrà adottata una catalogazione ossessivo-compulsiva (sempre cara all'Autrice) del materiale:
Mattoni grandi: libri con più di mille pagine, quelli che è meglio non portarsi in vacanza a causa dell'effetto "Cadavere in valigia". Possono essere riciclati come mattoni veri, soprattutto se hanno la copertina rigida.
Mattoni standard: tra le cinquecento e le mille pagine. Più facilmente trasportabili. Possono agevolmente essere riciclati come fermaporta.
Mattoni semplici: tra le cento e le cinquecento pagine. Si adattano perfettamente a qualsiasi borsa (pochette escluse). Possono essere riciclati come regali (i mattoni di maggiori dimensioni sono rischiosi da donare, tendono a spaventare i lettori alle prime armi), ovviamente solo se conservati con cura.
Mattoncini: meno di cento pagine. A prima vista nessuno li vuol mai comprare (la Sindrome da Mattone ci spinge verso più massicci articoli), ma spesso riservano piacevoli sorprese. Possono essere riciclati come regali (ma si rischia di passare un po' per spilorci) e per livellare le gambe dei tavoli.
Ciò detto, detto tutto.
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