giovedì 19 gennaio 2012

I medici nazisti





La trama in due parole

Nella Germania Nazista il giuramento di Ippocrate suonava più o meno così:
"Giuro a te, Adolf Hitler - come Fuhrer e cancelliere del Reich - lealtà e valore. Prometto a te e ai miei superiori, da te designati, obbedienza sino alla morte, con l'aiuto di Dio." 



Dunque: non credo di spoilerarti nessun finale se prosegui, immagino tu sia già informato di come si conclude l'intera faccenda.

L'autore, docente di psichiatria e psicologia e, credo di doverlo sottolineare, ebreo (e lo sottolineo perché al suo posto non credo avrei avuto il pelo di condurre interviste a medici nazisti restando al contempo obiettiva) apre chiarendo che questo libro non anela a sostituire la condanna con una comprensione, ma solo a scoprire qualcosa di più su questo tipo di male.

Il libro è diviso in tre parti: nella prima si affronta il problema dell'eutanasia, nella seconda si parla in dettaglio di Auschwitz e nella terza, infine, del genocidio in senso lato.
La scelta è stata opportuna.
Il pensiero di tutti infatti, quando si parla di Nazismo, corre immediatamente ai campi di concentramento e alle camere a gas, senza considerare come questo sia stato in realtà solo l'ultimo di una serie di passi.

Il primo di questi è stata proprio l'eutanasia.
Fuori dai campi, nei comuni ospedali, e molto prima della Guerra.
Quello da cui ci si deve svincolare è il concetto attuale (e corretto) che abbiamo dell'eutanasia, cioè una "dolce" morte, provocata intenzionalmente, PREVIO CONSENSO dell'interessato.
Non voglio addentrarmi in discorsi sulla liceità o meno della cosa, ma credo si sia tutti d'accordo sul fatto che se la nonna ha il cancro, ma vuole ancora finire il suo quadro al punto croce e noi le piazziamo comunque del cianuro nel tè coi biscotti siamo degli assassini e basta.
Se invece la nonna ha il cancro e ne ha le palle piene e ci supplica di piazzarle qualcosa nel suddetto tè (e noi magari siamo anche medici) la cosa è diversa, e in certi luoghi del tutto legale (cianuro a parte).

I Nazisti invece hanno inteso l'eutanasia nel primo modo.
Nonna ha il cancro?
(e con "nonna ha il cancro" intendiamo: malati di mente, bambini con ritardo mentale o malformazioni congenite gravi, gente che ci sta sui coglioni, una qualunque persona che non sia utile alla società)
Bene, VAI DI CIANURO!
(e con "vai di cianuro" intendiamo: sbattila in una camera a gas, iniettale del fenolo, falla morire di fame dicendole che le hai cambiato il regime dietetico).

QUESTO E' IL CONCETTO UNO.

Ma perché decidere di eliminare queste persone?
E qui arriviamo al CONCETTO DUE.
I Medici nazisti dovevano smettere di intendere la medicina come un'arte rivolta alla singola persona, dovevano invece capire che era rivolta al POPOLO.
Al popolo tedesco, per la precisione.
Ergo, ciò che dovevano curare non era un corpo, ma un'intera nazione, andando quindi ad agire su quelle parti dell'organismo più deboli, che inficiavano il funzionamento dell'intero sistema.
Questo concetto è estremamente importante, soprattutto per i medici, che necessitavano di una giustificazione per il loro operato: non sto venendo meno al giuramento di Ippocrate, ho solo modificato la mia idea di paziente.
Klein (uno dei medici di Auschwitz) disse infatti che "L'ebreo è l'appendice incancrenita nel corpo dell'umanità".
Una cosa da togliere al più presto, insomma, se si vuole salvare il "corpo/volk".
(tra l'altro: il fatto di essere ebreo era spesso considerato già per sé una diagnosi di malattia, quindi era piuttosto dura scamparla)

L'altra cosa da notare è come il Nazismo fosse permeato dalla biologia, dalla genetica, dalla medicina.
In un passo del libro si dice infatti che veniva considerato da molti medici non come un movimento politico, ma come "biologia applicata".
Pochissimi notarono allora le basi di "ommioddio non ho esattamente delle prove scientifiche che suffraghino le mie ipotesi, ma chi cazzo se ne frega, sarà sicuramente così" su cui poggiava questa cosiddetta biologia.

Dall'eutanasia però fu fatto un passo ulteriore.
Ovvero: va bene, stiamo eliminando in massa quelli che non ci piacciono (nella massima segretezza e spedendo ai parenti a casa letterine molto dispiaciute per il fatto che la nonna è morta di polmonite e blablabla), ma perché pensare in piccolo? Facciamo in modo che queste persone non possano fare figli, così ci risparmiamo un sacco di lavoro! D'altra parte i nostri studi sulla trasmissione genetica sono così avanzati che possiamo permetterci tranquillamente di sterilizzare ad minchiam con la benedizione di Mendel e tutti i suoi cazzo di pisellini.
E fu così che vennero spese moltissime risorse, fatica e sudore (per non parlare di ovaie, testicoli ed uteri) sulla base di un sacco di nozioni prive di fondamento.

Detto ciò non si deve credere che l'intera operazione fosse campata in aria.
La burocrazia era imperante.
Niente poteva essere fatto senza essere accuratamente registrato, valutato (da almeno tre medici, che spesso tra l'altro non avevano mai nemmeno visto i pazienti) e quindi GIUSTIFICATO.
La responsabilità era di tutti e di nessuno.
Non era delle infermiere, che eseguivano gli ordini dei medici, che eseguivano gli ordini dei primari, che eseguivano quelli dei direttori degli ospedali e via così fino alla cima.
Cima che però non eseguiva mai MATERIALMENTE nulla, e quindi, in un certo senso malato, poteva ritenersi assolutamente libera di sensi di colpa e del tutto legittimata a farsi un birrozzo coi colleghi in allegria.

Tutto questo riguarda l'uccisione "terapeutica" GENETICA.

Nei campi di concentramento veniva invece eseguita l'uccisione "terapeutica" RAZZIALE.
Qui finivano principalmente ebrei, zingari, polacchi, oppositori politici, omosessuali.
Opportunamente divisi in categorie specifiche, ognuna delle quali colpevole di danneggiare (leggi ammalare) il popolo tedesco, e quindi "meritevoli" di essere eliminate in blocco.
Gli ideologi tedeschi consideravano Auschwitz "un'impresa sanitaria pubblica".
Giuro.
Lo so, è troppo stupido per passare per vero, ma purtroppo così stanno le cose.
La cosa ancora più incredibile è che ogni prigioniero di Auschwitz era destinato a morire, e poteva capitargli in molti modi, ma non era libero di uccidersi.
No, "lanciarsi contro un reticolato elettrico era considerata una violazione grave della disciplina e diventava spesso oggetto di inchieste minuziose".
Perché?
Perché era una decisione autonoma del prigioniero, quindi eludeva il rigido controllo medico e quindi NON poteva essere considerata terapeutica.
L'unica forma di suicidio tollerata era farsi morire lentamente di fame.

I medici che finivano ad Auschwitz si servivano di diversi meccanismi di difesa per non impazzire, il più importante dei quali era lo "sdoppiamento".
In loro convivevano un "Sè anteriore", il loro Io PRIMA di Aushwitz, il medico vero, quello che doveva curare il paziente, ed un "Sè di Auschwitz", quello che doveva operare le selezioni ai treni, eseguire le sperimentazioni e uccidere i pazienti.
La scissione era piuttosto forte in molti casi, il che spiega come questi uomini potessero essere contemporaneamente spietati assassini e buoni mariti e padri di famiglia.
Tutti i loro problemi di coscienza venivano riversati sul Sè nazista, l'unico in grado di giustificarsi dietro l'obbedienza a ordini superiori, e quello più incline ad adattarsi al campo e alla sua routine burocratica di morte.

Veniamo quindi alle selezioni.
Venivano fatte all'arrivo dei convogli ed erano la parte più stressante del lavoro dei medici (che dovevano sempre essere presenti, in modo da dare una parvenza scientifica all'intero processo).
Si doveva in pochi secondi decidere chi poteva vivere e chi doveva essere immediatamente inviato alle camere a gas.
Ora, nella realtà nessun medico sarà in grado di stabilirlo ad una prima occhiata, per cui la scelta era nella maggior parte dei casi assolutamente casuale e dettata solo dall'utilità del soggetto (donne, bambini ed anziani partivano quindi svantaggiati, i gemelli invece erano quasi sempre temporaneamente salvi grazie all'interessamento di Menegele, che aveva per loro altri progetti).
Nessun medico affrontava con piacere le selezioni, infatti le eseguivano spesso dopo essersi ubriacati, o bevendo pesantemente sul momento, in modo da non rendersi pienamente conto di quello che stavano effettivamente facendo.
Prerequisito essenziale era comunque una totale fede nell'ideologia nazista, la capacità di eseguire comunque gli ordini, per quanto sgradevoli, giustificandosi con un'"ideologia superiore".

Lo scopo di tutto era ottenere dei lavoratori efficienti, ma non nel senso comune di schiavi.
Gli schiavi infatti sono da considerare come "attrezzi" che vanno mantenuti in buona salute al fine di ottenere sempre una buona prestazione.
I prigionieri di Auschwitz venivano invece fatti "lavorare a morte" e, una volta eliminati, immediatamente sostituiti.

I medici del campo però non erano solo nazisti.
Molti erano medici prigionieri, che si trovavano in una posizione a dir poco bizzarra e decisamente pericolosa.
Il loro compito era curare di persona i prigionieri e contemporaneamente assistere i medici nazisti nelle procedure di sperimentazione e sterminio, a rischio della loro stessa vita.
Alcuni riuscirono a mantenere una propria integrità e anche ad aiutare i prigionieri (in qualche caso con la complicità di medici nazisti, ma si tratta di mosche bianche), altri vennero completamente risucchiati dalla dimensione più tetra della faccenda e, pur di salvare loro stessi, si piegarono a qualsiasi richiesta.
E' molto difficile esprimere giudizi in questi casi, perché la domanda è sempre "cosa avrei fatto IO al posto loro?".
Domanda a cui è facilissimo rispondere in via teorica (siamo tutti eroi nelle nostre rappresentazioni mentali), ma molto meno nella pratica.

L'Autore passa poi ad analizzare nel dettaglio le figure di tre medici in particolare: Ernst B., Mengele ed Eduard Wirths, ognuno con una diversa storia ed un diverso destino.
Non mi dilungo ulteriormente sulle loro storie, ma l'analisi è ottima e sorprendentemente obiettiva, anche se lo stesso autore ammette di aver faticato non poco a mantenersi in tale stato durante le interviste con Ernst, l'unico sopravvissuto dei tre.

Infine si parla del genocidio in senso lato, dei meccanismi psicologici che stanno alla base di questo processo e di come siano necessarie specifiche condizioni perché un popolo giunga a tale risoluzione: un fallimento a livello generale, avvertito da tutta la nazione (la sconfitta della Prima Guerra Mondiale, in questo caso), l'individuazione di un nemico su cui scaricare la responsabilità (gli ebrei in questo caso) e quindi la decisione di una cura radicale, che possa coinvolgere tutta la popolazione (il genocidio). 



Parlando in soldoni

Il libro è ottimo, completo e chiaro.
Ciò non toglie che possa essere una lettura un po' pesante da digerire.
Lo consiglio a tutti coloro che sono fortemente interessati all'argomento, e ovviamente a ogni medico, tanto per ripassare i fondamentali della sua professione e rendersi conto di come non sia poi così difficile arrivare a distorcerne il senso, quando le condizioni si presentano.


Autore: Robert Jay Lifton
Editore: BUR Biblioteca Universale Rizzoli
725 p.
Brossura

2 commenti:

FunKu ha detto...

è per cose come queste che io e te dovremmo sposarci e non fare figli.

il Benza ha detto...

Oddio questa cosa dei medici nazisti mi ha profondamente toccato. Ora. Tu non mi conosci. Diciamo però che tra il sottoscitto e i nazisti c'è una certa confidenza. Così capito qui e ci trovo i medici nazisti. Solo che io sono un po' ipocondriaco, ecco. Quindi i medici nazisti mi fanno un po' rattrappire. Perché sono medici. Mica perché sono nazisti. E, niente. Coglievo l'occasione per salutare Funku.